ROMANZI IN POCHI CENTIMETRI
L’ASFALTO
di Dorino Bon
Sul
Display del cellulare di Paolo Risi i quarzi decretano che sono le 3.01 del
mattino.
Il
cellulare “balla” e suona. Paolo Risi si alza di soprassalto.
Paolo
Risi è andato a dormire una manciata di pensieri poco dopo la mezzanotte
Non
c’è tempo! Si veste di corsa ed esce di casa.
Paolo
Risi non deve salutare nessuno ,il suo letto lo divide solo con la sua
coscienza.
Pochi
minuti e sale sulla sua auto.
Non
c’è tempo per prendere quella della “Ditta”.
Non
c’è tempo per nulla.
Paolo
Risi si accende una sigaretta, ingrana la prima e scende in scena dentro ad una
notte fredda e piovosa.
Paolo
Risi comunica con il suo cellulare ,mentre rincorre il tempo sull’asfalto,
mentre la sua mente progetta le ore che dovrà arrotolare man mano che avanzerà.
Paolo
Risi ormai non ha più una famiglia.
Alle
spalle ne ha due.
Davanti
a lui c’è solo un figlio
Paolo
Risi indossa l’orologio, ma solo come notifica di essere in vita. Ormai è già
inghiottito dall’infinito rettilineo di asfalto,pioggia e vento dell’autostrada.
“Pesta”
sull’acceleratore. I “fuorigiri” sui sorpassi diventano la sua colonna sonora.
Paolo
Risi è completamente dentro la notte. Le sigarette si susseguono una dietro
l’altra. Il finestrino appena abbassato racconta le loro storie.
Il
cellulare squilla in continuazione. Le telefonate partono come raffiche di
mitra. la voce si alza. Le Imprecazioni fanno tuonare l’abitacolo. I pugni sul
volante paralizzano l’ansia.Paolo Risi vive in un film che non fanno mai
vedere.
Paolo
Risi accende le prime luci dell’alba. I chilometri si sono incollati uno dopo
l’altro sul giorno che lo ha portato fuori dal buio di una notte come tante
altre. Il sonno ormai è solo il solito ricordo lontano , l’elemento che gli ha
disegnato il viso come in un fumetto.
Paolo
Risi ha 40 anni tutti sulle gambe sulle
spalle. Si vedono tutti. Si sentono sul suo alito. Si toccano sulla sua pelle.
Si scorgono sul suo sguardo.
Paolo
Risi per molti non è nessuno. Solo un numero da collocare all’interno di un
sistema. Per alcuni è un esempio, una leggenda. Per qualcuno è indispensabile.
Per qualcuno è un Amore. Per qualcuno è una preoccupazione. Per i suoi capi è
fondamentale, per loro è carriera. Per suo figlio è il Gran Papà. Ed è proprio
con i suoi capi che Paolo Risi conversa al telefono freneticamente. E’ proprio
con loro che pianifica il da farsi. E’ proprio con loro che si “incazza”.
Paolo
Risi dentro alla pioggia e al vento, appoggiato in precario equilibrio
sull’asfalto bagnato, è solo.
Attorno
a lui solo “pianeti” di persone che pendono dal suo avanzare. Persone appese al
suo futuro e probabile successo. Man, mano che questo si avvicina attorno a lui
sull’autostrada della “vita” i “pianeti” aumentano.
Paolo
Risi prosegue il suo viaggio in autostrada. Gasolio ce nè in abbondanza. I
chilometri si sono ammucchiati. Il gomitolo di ore si è accorciato. Piove
ancora e fa freddo. Dietro e davanti a lui , ora c’è il “mondo”. Macchine
“amiche” ovunque. Il telefono suona di continuo. Le telefonate partono sempre
numerose, sempre coi toni “tesi”. Paolo Risi prosegue. Non si ferma. Udine è
ormai lontana, il Friuli è ormai lontano. Paolo Risi è dentro le Marche e non
ha assaporato neanche il sapore di un caffè.
Paolo
Risi guida, riflette, telefona,decide,annota. Avanza chilometro dopo chilometro.
Di tanto in tanto una distrazione gli gela il sangue ricordandogli di essere
ancora in possesso di un cuore funzionante e non più in garanzia. Anche la fame
inizia a farsi sentire, ma è una questione di pochi secondi. L’attenzione e la
tensione acquistano l’importanza principale.
Paolo
Risi è complice assieme ad una donna Giudice dei giochi dei loro sentimenti,
delle loro acrobazie di sesso. Il Giudice è ora l’unico Padrone di quel che
resta della sua anima. Ci giocano assieme. Un passatempo che dividono nelle
poche ore libere che hanno il privilegio di dividere e di nascondere a tutti.
Giocano in continuazione, si strattonano, si gettano a terra e poi si aiutano,
come se nulla fosse accaduto a rialzarsi. Un gioco che va avanti da troppo
tempo, ma che non è mai diventato abitudine.
Paolo
Risi si ferma ad un autogrill. Non scende dall’auto. Gli occhi sempre accesi
sul punto. Uno dei suoi capi si affianca. Quattro parole dette in croce . Si
sono già capiti. Paolo Risi specialmente lo ha già capito e dentro di se, ma
quasi a farsi sentire, senza proferire parola, ma con la forza di uno sguardo
che urla, pronuncia un sonoro e liberatorio “vaffanculo”.Sono le nove del
mattino in un autogrill di Ancona.
Paolo
Risi scende dalla sua auto e repentinamente sale nelle viscere di un piccolo
furgone dove si sistema meglio che può. Accovacciato. Un panino e una bottiglia
d’acqua per smorzare la fame. non c’è spazio, ora, per questo. Le ore gli si
rovesciano addosso una dietro l’altra come macigni. Si parla sottovoce quasi a
non farsi sentire neppure dalle proprie orecchie. Annota, telefona. Scruta,
osserva e comunica.Neppure Imprecare può. Accovacciato fa compagnia al tempo
che lo abbraccia.
Paolo
Risi alle 18 non dovrebbe trovarsi all’interno di un furgone in un autogrill di
Ancona. Accovacciato e stanco. Paolo Risi alle 18 di quel medesimo giorno dovrebbe
stare a Udine in compagnia di suo figlio che compie gli anni. Dovrebbe stare in
compagnia dei suoi affetti e festeggiare quel giorno. Invece , però, si trova
li e li deve rimanere a far compagnia al destino.
Paolo
Risi deve fare la pipì. La trattiene fino all’impossibile. Poi svuota tutta
quella sofferenza nella bottiglia d’acqua ormai vuota. Senza scendere dal
furgone, senza alcun lusso ne privilegio. Intanto le ore avanzano sul giorno,
mentre intorno a lui e al suo furgone il mondo va in scena. Il mondo recita uno
spettacolo solo per pochi. Paolo Risi di quel spettacolo è sia spettatore che
protagonista. Volente o nolente recita anche lui la sua parte.
Sono
le 21.00. Paolo Risi nello stomaco ha solo un panino e dell’acqua. Una
telefonata lo raggiunge e il suo volto cambia colore. Un colore tenue e
rilassante. Un’auto si avvicina al furgone. Un uomo dialoga con lui. Una pacca
sulla spalla. Paolo Risi tenta di alzarsi in piedi. Le gambe urlano ad ogni
millimetro che si allungano. Dolore, sofferenza. Non si regge quasi in piedi,
ma ne ha viste di peggio. Come uno zombi risale sulla sua auto e via. Solita
scena. Ingrana la marcia e avanti dentro allo stomaco di quel lungo e bagnato
fazzoletto rettilineo di asfalto. Paolo Risi è di nuovo in scena. “Spara”
telefonate una dietro l’altra. Detta condizioni e disegna il futuro. Porta
avanti il suo corpo su quel pezzo di vita che ancora gli è concesso. I pensieri
sono proiettati al dopo e a tutto quello che accadrà. Non si può distrarre.
Neppure il pensiero di suo figlio riesce a portarlo via da quei momenti. Lo
scansa poco dopo. Lo fa attendere in parte. Paolo Risi prosegue come un
buldozzer. Continua a prendersi
chilometri uno dietro all’altro. Continua a varcare i confini di Regione dopo
Regione. man mano che si avvicina al traguardo le telefonate aumentano, i
complimenti pure. Dentro di se urla: “Basta! Questa è l’ultima volta”, ma
ancora una telefonata gli regala l’enorme Vitamina della soddisfazione. La voce
dall’altra parte dell’etere più prosegue e più lo carica, lo riempie di
energia. Quella voce in fondo è ciò che lo fa andare avanti è ciò che lo fa
essere quello che è. Quella voce è la sua ricompensa. Paolo Risi fa tutto questo
da vent’anni per uno stipèndio di poco superiore ai mille euro.
Sono
le 01.30 di un’altro mattino e di un altro giorno. Paolo Risi è sempre sulla
sua auto è sempre sull’autostrada. In corpo ha solo un panino e una bottiglia
d’acqua. Ha fumato l’impossibile e sofferto abbastanza. E’ stanco, ma l’energia
non lo abbandona anzi, lo scuote. La sua strada lo ha ospitato per quasi
ventiquattro ore. Un pezzo della sua vita è rimasto sul quel asfalto lontano da
suo figlio, dal suo Amore. Paolo Risi ci pensa, ma subito si rincuora: “Cosa
farei altrimenti! So fare solo questo!”.
Paolo
Risi risponde per l’ennesima volta al cellulare. Sono le 01.45. Paolo Risi
ascolta impietrito una voce roboante. Quasi si paralizza, ma non dice nulla,
non reagisce, solo rallenta un pò la velocità. Tenta di dire “ma....”
dall’altra parte del telefono una voce tagliente, spregiudicata e antipatica
gli sibila: “Le ripeto... lasci stare!! Sono io il Sovrintendente!!! Ora ci
pensiamo noi. Può andare!”
Paolo
Risi in questo racconto, frutto della fantasia dell’autore, è inventato.Nella
Vita è un Poliziotto per davvero.
(Dorino
Bon)
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